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Lo spettacolo ordinario della strada

Il genio e l'arte di Robert Doisneau, dove la fotografia d'autore ed il paesaggio urbano connotano un tempo

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Lo vidi per la prima volta che avrò avuto forse 16 anni, e non diversamente dalla maggiorparte di voi: su di un poster. Fu quello un bacio che non puoi far finta di non vedere, immortalato così, come se fosse colto nell'attimo, rapito a quei due amanti che bastano a se stessi, indifferenti alla folla che gli passa accanto. E difatti quel bacio fece il giro del mondo. Era il 1982 quando con quello scatto Robert Doisneau raggiunse la popolarità (Baiser de l'Hotel de Ville – 1950).

Lo vidi per la prima volta che avrò avuto forse 16 anni, e non diversamente dalla maggiorparte di voi: su di un poster. Fu quello un bacio che non puoi far finta di non vedere, immortalato così, come se fosse colto nell'attimo, rapito a quei due amanti che bastano a se stessi, indifferenti alla folla che gli passa accanto. E difatti quel bacio fece il giro del mondo. Era il 1982 quando con quello scatto Robert Doisneau raggiunse la popolarità (Baiser de l'Hotel de Ville – 1950).

In realtà la sua produzione d'autore iniziò molto tempo prima, ma non è della sua storia che voglio parlarvi, per questo potete ricorrere alle numerose biografie nel web (e prima di visitare una sua mostra, ve lo consiglio vivamente, per inquadrarne la formazione).

Quello che voglio fare invece è condurvi nel percorso della mostra attraverso la percezione che ho avuto io, con gli occhi di un Habitat designer.

Sùbito ad accoglierti la famosa gigantografia iconografica ti consegna la sensazione di beata familiarità, perchè quel famoso bacio è il soave romanticismo a cui tendere. Ma ahimè come tutte le cose belle, può esaurire la sua magia ed è successo a me quando ho letto che quella scena d'amore fu messa su da due attori per commissione della rivista a cui lavorava al tempo Doisneau.

L'artefizio fu giustificato dal divieto all'epoca di potersi baciare per strada. Lo scatto venne pubblicato insieme ad altri baci senza però suscitare particolare entusiasmo, fin quando negli anni '80 non gli proposero di farne un poster e da lì in poi ne conoscete l'esito.

Diventò un simbolo che fece il giro del mondo: la Parigi bohemienne, la Parigi degli innamorati, la Parigi della libertà.

E' proprio questo senso di libertà che muove fin da subito il fotografo in giro per le strade di Parigi e della sua periferia, le banlieue, ed è li che trova le sue ispirazioni, che lo porteranno a delineare e mantenere uno stile definito solo dalla sua forma mentis,  facendone l'impronta identificativa delle  immagini che saprà sapientemente catturare.

E' la strada del sud di Parigi il territorio che ama più di ogni altro poiché è nella periferia che è creciuto e dalla quale non si è mai allontanato e perchè, disse:” è lì che bisogna andare, poiché vi si imparano più cose che a scuola”.

Saranno le foto selezionate per la mostra a raccontarmi di lui: ad aprire, l'immagine di bambini sui banchi di scuola, seguitano carrellate di volti di figli, nipoti ed amici; un'intera sezione è dedicata ai portinai dei palazzi che rappresentano, secondo lui, la vera Parigi e questo tema fu una delle sue proposte per la rivista Vogue (per la quale lavorerà dal 1950 al 1952, senza grandi slanci).

Lungo tutta  la mostra, è in alcune di queste foto però che si focalizza il mio sguardo di designer, si possono scorgere le cornici d' entrata delle portinerie dell'epoca  fatte di legno o ferro con grandi vetrate, mentre in un'altra istantanea, raffigurante una portinaia accasciata sulla sedia, si può scorgere alle sue spalle un arredo di molte porcellane in voga al tempo (probabilmente di Limoges o Chantilly) – La concierge oux lunettes rue Jacob, 1945 ; Madame Augustine, 1953.

Tutti questi dettagli ed altri ancora mi suggeriscono come Doisneau amasse documentare il suo tempo, restituendoci una preziosa testimonianza visiva di quella che fu l'evoluzione urbanistica e sociale della città, soprattutto dal dopoguerra agli anni '80, quando scattò le foto più iconiche della Francia in rinascita. Ma Doisneau iniziò la sua attività di fotografo negli anni '30 portandola avanti anche sotto l'Occupazione e durante la Liberazione, partecipando attivamente alla Resistenza.

Come fotografo ha documentato i disagi della guerra con immagini emblematiche che divennero  autentiche perle di valore storico e socio-culturale.

Fu uno dei padri della fotografia umanista, interessato quindi al modo di abitare il mondo, ai cambiamenti dei luoghi quanto all'evoluzione dei contesti sociali che celebrarono la volontà  dell'uomo di attraversarli da protagonista, non subendoli ma facendoli propri.

Con lui la vita di strada divenne il teatro delle sue rappresentazioni, scene di libertà si declinarono in volti di bambini che corrono e giocano spensierati, di amici incontrati in locali notturni scatenati in boogie woogie, in scene di scambi affettuosi nelle strade affollate, ed ancora in volti di amici scrittori come Jacques Prevért che lo accompagnò nelle banlieue per lunghe passeggiate.

Assieme a Blais Cendras fu autore con le sue foto de La Banlieue de Paris (1949) mentre con Robert Giraud pubblicò nel 1954 il suo secondo libro, Le parisiens tels qu'il sont.

Il suo sodalizio con gli scrittori proseguì nel corso degli anni fino al 1991 quando con Daniel Pennac realizzò due grandi successi editoriali, Vita di famiglia e Le vacanze.

Molti di questi artisti , esposti nella mostra, furono i compagni con cui Doisneau riuscì ad esprimere anche con le parole la sua più intima vocazione alla fotografia che, come ha sempre dichiarato nelle interviste, doveva avere alla base la curiosità e la disobbedienza, unite alla pazienza dei pescatori immobili in attesa del fatidico momento.

Rimase fedele alla sua forma mentis di fotografo in ogni scatto, senza mai abbandonarla neanche quando lavorò per committenza, al contrario di quello che successe ai luoghi a lui più cari. 

Ritratti vent'anni dopo, per la missione fotografica della DATAR (Delegazione Interministeriale per la pianificazione e l'attrattività regionale – 1984) rivisitando una banlieue parigina,  furono completamente rimodernati da un'architettura ed un assetto paesaggistico che offuscarono il loro genius loci originario.

Quella poca familiarità del luogo lo portò ad adottare un approccio insolito rispetto al resto della sua produzione: oltre a fotografare a colori, scelse di sgomberare il paesaggio urbano  dalla presenza umana, forse perchè nell'imponente opera (in accordo con gli altri organizzatori) volle includere le immagini degli stessi luoghi che aveva realizzato qualche decennio prima.

Questa scelta denotò, oltre ad una punta di nostalgia e di sgomento, una visione critica sulle trasformazioni del paesaggio, ed infatti scrisse a proposito:” Con il naso per aria, in queste nuove città, mi domando come facciano i ragazzini ad improvvisare nuove avventure”.

Sono proprio i bambini i soggetti più fotografati da Doisneau, sono loro che animano le periferie e i terreni inutilizzati (i non-luoghi). Sono loro con l' animo puro e gioioso, molto disponibili a lasciarsi fotografare e poco timidi, a rappresentare i protagonisti della sua fotografia che parla di gente comune, con le loro debolezze e difetti : “ è una cosa molto fraterna ed è bellissimo far luce su quelle persone che non sono mai sotto i riflettori”.

Scelse dunque di raccontare la dura quotidianità, mostrando la miseria nella quale vivono e lavorano alcuni dei suoi contemporanei, una società fragile dove i ricchi avevano, fra le tante, una fortuna in più rispetto ai poveri: potevano lasciare una traccia del loro aspetto fisico e del tempo in cui avevano vissuto. A chi invece viveva sul confine con la miseria, la cattiva sorte non concedeva neppure questo, perciò Doisneau si dedicò a loro, catturando quei momenti di grazia attraverso un'espressione di felicità sui loro volti. La sua era una ricerca di “une certaine idée du bonheur”, e lo dichiarò anni dopo dicendo:

” Quello che cercavo di mostrare era un mondo in cui mi sentivo a mio agio, in cui le persone erano gentili e dove potevo trovare la tenerezza che desideravo ricevere. Le mie foto erano come una prova del fatto che quel mondo può esistere”.

Oggi sarebbe difficile immaginare di poter concepire un progetto fotografico come il suo, dove la strada è diventata un territorio ostile alla fotografia e non solo. Per questo motivo, l'opera fotografica di Doisneau e dei fotografi della sua generazione che hanno sfruttato e valorizzato le risorse umane e paesaggistiche della città, acquistano un enorme valore come testimonianza di cronaca sociale ed urbana del tempo.

 

 

Al grande maestro della fotografia umanista e fotogiornalismo di strada è stata dedicata la mostra ospitata al Museo dell'Ara Pacis di Roma che si è tenuta fino al 4 settembre 2022.

La retrospettiva è stata curata da Gabriel Bauret e sono state esposte 130 stampe originali ai sali d'argento in bianco e nero, provenienti dall' Atelier Robert Doisneau a Montrouge. In questo atelier il fotografo ha stampato ed archiviato con precisione le sue immagini per oltre cinquant'anni, ed è lì che si è spento nel 1994, lasciando un'eredità di quasi 450.000 negativi.

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