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La rigenerazione urbana attraverso il verde

Oggi tutto è green, così ecco la coscienza giornaliera che inneggia alla sostenibilità, a progetti ecosolidali, a zero sprechi, energie rinnovabili

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La rigenerazione urbana attraverso il verde. Oggi tutto è green, così ecco la coscienza giornaliera che inneggia alla sostenibilità, a progetti ecosolidali, a zero sprechi, energie rinnovabili. 

Come al solito ci riduciamo a tirar troppo la corda; a procrastinare fino a quando non abbiamo altra via d'uscita se non quella di agire; ad affidarci alla dea elpis (Speranza) aspettando che esca per ultima dal vaso di Pandora, quando tutti i mali ormai sono stati liberati.

Ed eccoci qui ad avere prese di coscienza giornaliere che inneggiano alla sostenibilità, a progetti ecosolidali, a zero sprechi, energie rinnovabili e così via o così sia. Tutto molto apprezzabile, se non esistesse sempre il rischio di trasformare un'azione valevole in una moda del momento, cosa che a noi italiani riesce bene. Ogni cosa ora è green, claim pubblicitari, macchine, alimenti, prodotti di ogni genere finanche ai colori dei capelli. Ma lì dove un oggetto o alimento, deputato ad essere messaggero di riconversione a impatto zero, può vacillare nella durata del suo incarico, l'architettura no. O meglio, l'architettura dovrebbe essere progettata per perdurare e resistere nei secoli, soprattutto quando apporta benefici anziché sottrarne.

Tornando dunque alla questione fattasi oramai urgente dell'ecosostenibilità, posso dire che l'architettura ci era arrivata già da parecchio tempo.

 Ricordo di averne sentito parlare per la prima volta in aula dal professore di architettura del paesaggio. Sarebbe stato quello il tema del progetto innovativo da preparare per l'esame di sessione.

Al tempo, forte dell'argomento ancora poco conosciuto e di noi studenti imperiti alle prime armi, il nostro prof, non specificandone la fonte, lo fece passare come una sua idea futuristica. Quella che in verità, non molto tempo dopo, scoprii appartenere al francese Patrick Blanc (botanico, creativo e paesaggista) che inventò per l'appunto le Mur Vegetal o come ama definirlo lui “un pezzo di natura invitata in città”. La parete vegetale ha lo scopo di ricercare l'equilibrio tra uomo e natura, per migliorare la qualità della vita, mitigando il clima e riducendo l'inquinamento ambientale.

Funge inoltre da ottimo isolante.

Può essere realizzata sia esternamente che internamente all'edificio, utilizzando pannelli modulari sui quali far crescere le piante nutrite ed irrigate da un sistema automatico.

Se il primo incarico ufficiale di Patrick Blanc risale al 1986 con il muro vegetale per la Cité des Sciences et de l’Industrie di Parigi, la facciata del Musée du Quai Branly rappresenta il suo primo lavoro di fama mondiale, su architettura di Jean Nouvel.

 È autore di oltre 200 opere viventi nel mondo, felicemente integrate nel paesaggio di cemento di metropoli come Parigi, Madrid, Londra, Nuova Delhi, New York e Sydney.

Nascono così progetti ecologici che sono veri e propri sistemi di filtraggio benefici per la qualità dell’aria, capaci di rivoluzionare l’architettura moderna e del paesaggio decorando proprietà private, musei, gallerie commerciali, alberghi ed edifici pubblici.

Da Blanc possiamo dire che l'architettura non ha più smesso di progredire nella ricerca di nuovi sistemi per reintegrare la natura nell'urbanizzazione, fino ad ampliare la scala ed arrivare al Bosco verticale. Pioniere di questo progetto fu l’architetto Stefano Boeri. Boeri era a Dubai nel 2007, quando gli venne l’idea di costruire un grattacielo rivestito di alberi. L’architetto si aggirava per la capitale degli Emirati Arabi e notò come gli edifici fossero rivestiti di vetro, ceramica o metalli, riflettendo la luce solare e generando calore nell’aria e per terra.

Da qui arrivò lo stimolo a progettare due torri biologiche e sostenibili, in grado di ridurre i consumi energetici grazie allo schermo vegetale. La costruzione cominciò a Milano nel 2009 e terminò nel 2014 con l'inaugurazione nella suggestiva cornice del quartiere Isola, di due torri, alte 80 e 112 metri che ospitano nel complesso più di 100 appartamenti e 800 alberi, 15mila piante perenni o tappezzanti e 5mila arbusti, dai colori suggestivi che cambiano al viariare delle stagioni. Una vegetazione equivalente a quella di 30mila metri quadri di bosco e sottobosco.

Vi starete chiedendo chi si occuperà di tanta mole vegetale? Sono reclutati i flying gardeners, figure atte alla manutenzione del verde anche ad alta quota. Le piante, oltre ad avere una funzione decorativa, permettono di ridurre i consumi energetici all’interno degli appartamenti, mantenendoli caldi d’inverno e freschi d’estate. La loro presenza riduce inoltre le quantità di anidride carbonica e polveri sottili nell’aria e negli anni ha attirato migliaia di esemplari di volatili e farfalle, ripopolando la fauna della città. Per il suo mix di sostenibilità e design, oltre a essere replicato in progress in diverse città, da Losanna a Chicago, da Utrech a Nanchino, è stato vincitore di vari riconoscimenti.

Nel 2014 si è aggiudicato l’International Highrise Award, come grattacielo più bello del mondo per essere “esempio eccellente di rivitalizzazione di un centro urbano”.

Nel 2015 il Council on Tall Buildings and Urban Habitat, promosso dall’Illinois Institute of Technology di Chicago, lo elegge “Migliore Architettura del Mondo 2015”, in virtù della sua unicità sperimentale. Lo stesso ente nel 2019 l’ha incluso tra i cinquanta grattacieli più iconici del mondo costruiti negli ultimi cinquant’anni.

ll bosco verticale è ormai una felice realtà in molti paesi del mondo, una boccata d’ossigeno tra il cemento dell'urbanizzazione.

E questo è quello che ci auguriamo sempre.

 

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